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endocrinologia ginecologica
preservazione della fertilità
Negli ultimi tre decenni nel mondo occidentale ha preso piede un fenomeno che rischia di avere importanti risvolti sulla natalità: la programmazione delle nascite ad un’età nettamente più avanzata rispetto al passato. Questo sembra particolarmente evidente in Italia, dove l’età media della donna alla prima gravidanza si è spostata dai 23-25 anni del 1970 agli attuali 31,4 (l’età del partner maschile è in media 3 anni maggiore). Rilevante risulta inoltre il numero di coppie che desiderano un figlio addirittura dopo i 35anni. La fertilità della donna risulta massima a un’ età tra i 20 e i 30 anni poi decresce in modo repentino dopo i 35 anni, fino ad essere prossima allo zero già diversi anni prima della menopausa. Poiché l’età media della menopausa è 51 anni, ma ha una grande variabilità nella popolazione generale, ne deriva che l’ingresso nella fase di subfertilità o infertilità avviene per molte donne intorno a 40 anni, ma può essere anche molto più precoce. Altro aspetto degno di nota in termini di fertilità, stando ai dati presenti in letteratura, è sicuramente l’impatto che le terapie antitumorali hanno sulla fertilità in entrambi i sessi. Infatti, ogni giorno in Italia vengono diagnosticati almeno 30 nuovi casi di tumore in pazienti di età inferiore ai 40 anni, pari al 3% della casistica generale. La possibile comparsa di sterilità o d’infertilità secondaria ai trattamenti antiproliferativi e il disagio psicosociale ad essa correlato sono temi di importanza crescente. I trattamenti antiblastici sono associati a un elevato rischio di infertilità temporanea o permanente. Il tasso di infertilità iatrogena è variabile e dipende da più fattori: classe, dose e posologia del farmaco impiegato, estensione e sede del campo di irradiazione, dose erogata e suo frazionamento, età e sesso del paziente, anamnesi di pregressi trattamenti per infertilità.
Alla luce di quanto detto diventa sempre più importante ed attuale offrire ai pazienti la possibilità di sottoporsi a tecniche finalizzate alla preservazione della fertilità, sia nella popolazione a rischio in generale (preservazione della fertilità per ragioni sociali), sia nei pazienti oncologici (preservazione della fertilità per indicazione medica). Il counselling tempestivo ed adeguato è il prerequisito essenziale per permettere ai pazienti di sottoporsi a tecniche di preservazione della fertilità.
Per quanto riguarda l’uomo, la crioconservazione del seme o del tessuto testicolare rappresenta una tecnica che permette di conservare i gameti maschili per un tempo indefinito a –196°C e, al giorno d’oggi, rappresenta un formidabile strumento per i pazienti che si sottopongono a trattamenti medici o chirurgici potenzialmente in grado di indurre sterilità.
Nella donna le principali tecniche di preservazione della fertilità attualmente esistenti in Italia sono rappresentate da: criopreservazione degli ovociti, soppressione gonadica con analogo LH-RH, chirurgia conservativa e trasposizione ovarica, criopreservazione di tessuto ovarico.
Oggi la crioconservazione degli ovociti attraverso la tecnica della vitrificazione è una tecnica sicura, gli ovociti sopravvivono allo scongelamento in buone percentuali e possono realisticamente offrire buone possibilità di gravidanza, seppur più basse rispetto ai cicli a fresco. Questo processo consiste nello stimolare lo sviluppo di vari follicoli allo scopo di ottenere, sotto sedazione anestetica e tramite aspirazione, alcuni ovuli. Subito dopo, gli ovuli vengono vitrificati e si conservano inalterati fino a quando la donna avrà completato il trattamento della sua malattia e desidererà avere un figlio. Nei casi di donne di età superiore a 40 anni si deve effettuare una valutazione personalizzata. La paziente deve ricevere consulenza medica costante e informazioni chiare in base alla sua età e alla sua riserva ovarica. I trattamenti farmacologici per la stimolazione ovarica si stabiliscono caso per caso, come per il tumore al seno, in cui i protocolli riducono al minimo il livello di estrogeni.
La somministrazione di analoghi LH-RH durante la chemioterapia, riducendo la secrezione di FSH, sopprime la funzione ovarica e potrebbe, quindi, ridurre l’effetto tossico della chemioterapia.
La trasposizione ovarica consiste nello spostare chirurgicamente le ovaie lontano dal campo di irradiazione, durante il trattamento chirurgico della neoplasia. Le ovaie vengono in genere fissate nelle fosse paracoliche con sutura non riassorbibile e clip metalliche per consentire la loro identificazione da parte del radioterapista. Esistono piccole serie di casi in letteratura che dimostrano il recupero della fertilità e successive gravidanze spontanee in donne con ovaie trasposte.
La crioconservazione del tessuto ovarico o dell’intero ovaio è una tecnica ancora sperimentale che ha il vantaggio di non richiedere una stimolazione ormonale, e offre prospettive per preservare sia la funzione riproduttiva sia quella ormonale. La competenza, le conoscenze e l’esperienza del medico risultano fondamentali nel processo decisionale del tipo di tecnica di preservazione della fertilità da attuare, in quanto ogni tecnica necessita di essere individualizzata e personalizzata sulla base delle indicazioni e della storia clinica dei pazienti.
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