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Abortività ricorrente

Approfondimento sulle prestazioni svolte

Abortività ricorrente

L’aborto spontaneo è definito come un’interruzione di gravidanza che avviene spontaneamente entro le 24 settimane di gestazione. Le linee guida della European Society of Human Reproduction and Embryology (ESHRE) e dell’American Society for Reproductive Medicine (ASRM) definiscono l’abortività riccorrente come il fallimento di due o più gravidanze clinicamente riconosciute.
Le gravidanze ectopiche e le gravidanze molari non sono incluse nella definizione di abortività ricorrente, mentre è ancora oggetto di discussione se considerare gli aborti non consecutivi e le gravidanze biochimiche.
Le pazienti che hanno avuto aborti ricorrenti devono essere indirizzate a centri specializzati nell’inquadramento diagnostico e nella gestione clinica di questa condizione. Il meccanismo fisiopatologico che determina questa condizione è diverso a seconda dell’età materna e dell’epoca gestazionale, così come diversi sono i fattori di rischio associati. Sebbene ad oggi in più del 50% dei casi non si riesca a identificare una causa precisa, tra i fattori più fortemente correlati sono state identificate le anomalie strutturali dell’utero ed i disordini autoimmuni.
La metà circa di tutti i concepimenti si interrompe ancor prima che la gravidanza possa essere clinicamente diagnosticata, ed un ulteriore 9-20% delle gravidanze clinicamente riconosciute esita in aborto entro le 12 settimane di gravidanza. A partire dalla tredicesima settimana di gravidanza, i tassi di aborto riportati mostrano una forte riduzione con un’incidenza dell’1%.

Epidemiologia e fattori di rischio
Determinare la prevalenza dell’aborto, così come dell’abortività ricorrente, è complesso dal momento che questo dato è fortemente influenzato da quanto precocemente la donna riconosce la gravidanza e si rivolge allo specialista ginecologo, dalle caratteristiche della popolazione e dall’uso di criteri diversi per definire l’abortività ricorrente.
Preso atto di questi limiti, i dati ottenuti da studi condotti su larga scala in Europa e negli Stati Uniti, stimano la prevalenza media di abortività ricorrente compresa tra l’1% e il 4%. L’incidenza di aborto riportata è ad oggi sicuramente sottostimata per via del fatto che pochissimi Paesi hanno l’obbligo di registrare gli aborti spontanei all’interno di un registro nazionale. Limitata è inoltre la possibilità di comprendere se e come la prevalenza sia variata nel tempo dal momento che difficilmente le donne parlano spontaneamente dei loro precedenti episodi di aborto, questo per via di alcuni atteggiamenti sociali e culturali.
Molti studi hanno dimostrato l’effetto dell’età materna al concepimento sui tassi di aborto. Il rischio di aborto è infatti basso, pari circa al 9,8%, nelle donne di età compresa tra 25 e 29 anni, aumenta nelle donne di 30-35 anni, per poi salire bruscamente al 33,2% nelle donne di 40-44 anni. Più del 50% delle gravidanze si interrompono spontaneamente in donne con più di 42 anni di età. Questi ultimi sono dovuti, in oltre il 90%, ad errori cromosomici nella meiosi.
Il numero di aborti precedenti è un fattore che influenza la probabilità di aborti ripetuti e aumenta, in funzione dell’età, in modo sequenziale fino a raggiungere il 63% nelle donne che hanno avuto sei o più aborti.
Una importante revisione sistematica della letteratura dimostra che l’aborto è più frequente in donne con storia familiare positiva per abortività spontanea o ricorrente; la storia familiare del partner maschile non è stata valutata. Alcuni fattori genetici sembrerebbero coinvolti nel rischio di aborto spontaneo. Sono stati infatti identificati quattro distinti loci genici di suscettibilità che hanno un ruolo nella produzione di progesterone, nella placentazione e nella regolazione delle gonadotropine e si correlano ad abortività spontanea e ricorrente. Tra gli altri fattori di rischio sono da annoverare quelli ambientali. Tra questi, l’inquinamento atmosferico e le sostanze chimiche, in particolare il bisfenolo A e gli ftalati, possono aumentare il rischio di aborto. Alcuni stili di vita scorretti possono influenzare il rischio di aborto spontaneo, tra questi il fumo ha un impatto negativo sulle chances di evoluzione della gravidanza così, come il consumo di alcol, provato fattore di rischio per lo sviluppo anomalo del feto.

Patogenesi
Una gravidanza inizia con l’impianto di un embrione competente su un endometrio ricettivo. Alterazioni a carico di una di queste due componenti nelle primissime fasi del processo di impianto possono causare un aborto spontaneo.

Anomalie cromosomiche
L’aneuploidia embrionale è una causa frequente di aborto in donne con aborti ricorrenti. I tassi di aneuploidia embrionale sono equivalenti nei casi di aborto ricorrente e spontaneo, così come le diverse categorie di anomalie citogenetiche. Le anomalie cromosomiche fetali più comuni sono causate dalla non-disgiunzione meiotica, ossia la mancata separazione dei cromosomi, che provoca, per esempio, trisomia e monosomia, e da anomalie cromosomiche strutturali, come traslocazioni bilanciate o inversioni.
È ancora dibattuto se alcune modifiche epigenetiche del DNA spermatico e l’aumento della frammentazione del DNA negli spermatozoi siano correlati ad abortività ricorrente.

Endometrio
Le anomalie strutturali uterine congenite, tra cui uteri arcuati, settati, unicorni, bicorni e didelfi, sono più frequenti nelle donne che hanno un aborto (13,3%) rispetto alla popolazione generale (5,5%). Queste sono più comunemente associate ad aborti tardivi del primo e secondo trimestre piuttosto che ad aborti precoci. Tra le anomalie uterine acquisite, i miomi uterini sottomucosi, i polipi endometriali e le aderenze intrauterine (Sindrome di Asherman) sono associate ad un aumento del rischio di aborto spontaneo.
L’endometrite cronica, un’infiammazione localizzata dell’endometrio causata da un’infezione (E. Coli, E. faecalis, Streptococcus spp, Staphylococcus spp, Chlamydia, Mycoplasma e Ureaplasma) è spesso asintomatica o associata a sintomi lievi e non specifici. La prevalenza riportata nelle donne con aborti ricorrenti varia dal 9% al 56%. Questo ampio range è probabilmente dovuto alla mancanza di criteri diagnostici consensuali. Tale condizione favorirebbe l’infiltrazione di cellule immunitarie nell’endometrio, tuttavia l’efficacia proposta del trattamento antibiotico non è ancora stata valutata in studi randomizzati controllati.
L’insufficienza della fase luteale è caratterizzata da una ridotta produzione di progesterone durante la fase luteale del ciclo mestruale. Questa condizione è ampiamente riconosciuta come causa di aborto spontaneo dal momento che altera il normale processo di impianto embrionario.
Tra le cause di aborto spontaneo rientrano quei disturbi endocrini e metabolici che compromettono la decidualizzazione endometriale. Dall’analisi genomica delle cellule stromali endometriali in fase medioluteale di donne con abortività ricorrente è emersa una significativa ipometilazione delle regioni di DNA ricche in citosina-adenosina (C-A) e la deplezione di cellule epiteliali staminali mesenchimali (eMSC). Tale deplezione sembrerebbe determinare una maggiore senescenza deciduale per cui le cellule sono resistenti al progesterone, secernono proteasi della matrice extracellulare e mediatori infiammatori. L’endometrio manca quindi della plasticità necessaria per accogliere la gravidanza. Le donne con aborti ricorrenti hanno una elevata espressione di galectina-7 a livello endometriale. Questa proteina influenza negativamente l’impianto della blastocisti e le interazioni tra decidua e trofoblasto.
La tolleranza immunitaria è fondamentale per il successo dell’impianto embrionario e per l’evoluzione della gravidanza. L’endometrio è, in particolare, il primo sito di contatto diretto tra il sistema immunitario materno e le cellule placentari fetali.
Il ruolo chiave della tolleranza immunitaria in gravidanza è stato oggetto di studio per decenni con l’obiettivo di implementare il management dell’abortività ricorrente.
Un microambiente endometriale pro-infiammatorio potrebbe influenzare il numero e la funzione dei linfociti residenti nell’utero all’inizio della gravidanza, alterare la funzione delle cellule NK dell’immunità innata che promuovono l’angiogenesi e il rimodellamento vascolare del trofoblasto, oltre che alterare numero e funzione dei linfociti T regolatori e T helper.

Autoimmunità
La sindrome antifosfolipidica (APS), una trombofilia acquisita associata alla presenza di autoanticorpi, è la causa trattabile più frequente di aborto ricorrente e viene diagnosticata nel 15-20% dei casi. L’aborto spontaneo si verifica nel 38,6% delle donne con APS, oltre a pre-eclampsia, parto pretermine e ritardo di crescita fetale. Il meccanismo primario dell’aborto spontaneo sembrerebbe legato all’effetto infiammatorio dannoso degli anticorpi antifosfolipidi sulle cellule placentari ed endoteliali, piuttosto che, come inizialmente ipotizzato, alla trombosi nei vasi sanguigni placentari. Alcuni studi hanno evidenziato che gli anticorpi anti-tiroide (anti-Tg, anti-Tpo e anti-TSHr) si presentano più frequentemente nelle donne con aborti ricorrenti che nella popolazione generale, anche in assenza di disfunzioni tiroidee. L’ipotesi più accreditata sostiene che questi anticorpi indurrebbero un lieve ipotiroidismo tale da ridurre la decidualizzazione endometriale. L’ipotiroidismo manifesto è un fattore di rischio noto per l’aborto spontaneo e l’alterazione dello sviluppo neuro-cognitivo del feto, sebbene non aumenti il rischio di aborti ricorrenti.

Obesità
Esiste una forte associazione tra obesità (BMI ≥30 kg/m2) e aborti ricorrenti. Prove emergenti indicano che l’obesità influisce sulla decidualizzazione dell’endometrio e riduce il numero di cellule epiteliali staminali mesenchimali medio-luteali.

Diagnosi, screening e prevenzione
Il gold standard per la diagnosi di aborto spontaneo è l’ecografia transvaginale.
Per fare diagnosi di aborto è necessario che sussista uno dei seguenti criteri: 1) sacco gestazionale vuoto con un diametro ≥25 mm 2) embrione con CRL di ≥7 mm senza attività cardiaca.
Per confermare la diagnosi: 1) in caso di un embrione con un CRL<7 mm, l’ecografia deve essere ripetuta 7 giorni dopo la prima e mostrare l’assenza di attività cardiaca 2) mancato raddoppio delle dimensioni del sacco entro 14 giorni dopo la prima ecografia in caso di sacco gestazionale vuoto con diametro <12 mm 3) sacco gestazionale vuoto con diametro >12 mm che non contiene un embrione visibile 7 giorni dopo la prima visualizzazione ecografica.
L’iter diagnostico della donna con diagnosi di abortività ricorrente deve prevedere la cariotipizzazione di entrambi i genitori, la valutazione dell’anatomia uterina, lo screening per APS, lo studio della funzionalità tiroidea e il dosaggio della prolattina.
La cariotipizzazione non dovrebbe essere eseguita in caso di aborto spontaneo sporadico; tuttavia, le linee guida dell’ASRM ammettono l’analisi citogenetica nei seguenti casi: 1) nonostante si sia già identificato e trattato il fattore causale, si è verificata una perdita successiva; 2) coppia con rischio aumentato di aneuploidia (es. storia familiare di traslocazioni cromosomiche non bilanciate o prole con anomalie congenite); 3) coppie senza fattori di rischio identificabili per via del provato beneficio psicologico.
Il test CMA è attualmente quello impiegato per eseguire l’analisi del cariotipo del materiale feto-placentare abortito. Tuttavia, questo test ha alcune limitazioni, tra cui l’incapacità di rilevare riarrangiamenti cromosomici strutturali bilanciati e mosaicismi.
Il dosaggio della prolattina è raccomandato solo nelle donne con sintomi di iperprolattinemia, comprese le pazienti con oligomenorrea o amenorrea.
Le linee guida raccomandano lo screening per la trombofilia solo in quegli individui con una storia personale o familiare di trombosi.
Lo studio della cavità uterina per le anomalie congenite e acquisite viene comunemente eseguito utilizzando l’ecografia 3D. Se questa non è disponibile, si possono eseguire la sonoisterografia, la risonanza magnetica o l’isteroscopia.
Lo studio della funzionalità tiroidea e lo screening per la presenza di anticorpi anti-tiroide sono raccomandati in tutte le donne con aborti ricorrenti.
Lo screening per gli anticorpi antifosfolipidi (anticoagulante lupico, IgG e IgM anticardiolipina, e IgG e IgM anti-β2 glicoproteina I) è fortemente raccomandato nelle donne con aborti ricorrenti. Il test per gli anticorpi anti-β2 glicoproteina I non viene eseguito di routine in alcuni paesi dal momento che la sua associazione con gli aborti ricorrenti sembra essere debole.

Trattamento
Il 66,7% delle donne con aborti ripetuti ha una gravidanza con feto nato vivo entro 5 anni dall’invio in un centro specializzato nella gestione dell’abortività ricorrente.
È di fondamentale importanza fornire alle pazienti informazioni accurate e personalizzate sulla probabilità di successo di gravidanza, che assieme al supporto psicologico, può motivare le pazienti ad attuare cambiamenti nello stile di vita che potrebbero prevenire il rischio di aborto e migliorare le chances di gravidanza.
Il trattamento combinato con eparina e aspirina è indicato per migliorare i tassi di nati vivi nelle donne con APS e aborti ricorrenti. Il trattamento con eparina da sola ha un’efficacia inferiore rispetto al trattamento combinato, mentre il trattamento con aspirina da sola non ha effetti sui tassi di nati vivi. L’eparina riduce l’attivazione del complemento indotta dagli anticorpi antifosfolipidi. L’assunzione di aspirina a basso dosaggio va iniziata prima del concepimento, mentre l’eparina a dose profilattica viene iniziata al momento della positività al test di gravidanza. Il trattamento combinato viene continuato per tutta la gravidanza. Dopo il parto, si raccomanda di mantenere la profilassi con eparina a basso peso molecolare per diverse settimane.
Alle donne con APS confermata dovrebbe essere consigliato di smettere di fumare, evitare contraccettivi orali contenenti estrogeni, mantenere uno stile di vita sano e assumere aspirina a basso dosaggio dopo il parto, salvo controindicazioni. L’aggiunta di corticosteroidi alla terapia combinata di aspirina ed eparina nelle donne con APS non migliora il tasso di nati vivi ma aumenta il rischio di complicanze ostetriche.
Le donne con aborti ricorrenti e ipotiroidismo franco prima del concepimento o durante l’inizio della gravidanza devono essere trattate con levotiroxina.
La chirurgia isteroscopica nelle donne con un utero settato può ridurre i tassi di aborto ripristinando così la normale anatomia della cavità uterina. Nessun intervento chirurgico è raccomandato per altre anomalie uterine congenite. È invece raccomandato il trattamento chirurgico per rimuovere le anomalie uterine acquisite (miomi, aderenze o polipi).
In assenza di fattori di rischio identificati, le terapie empiriche, come aspirina, eparina, immunoglobuline endovenose, glucocorticoidi o infusione di fattori di crescita, non sono supportate da evidenze scientifiche che ne giustifichino l’impiego.
Il supporto psicosociale per le donne e i loro partner è fondamentale per la gestione di quadri clinici di aborto precoce o abortività ricorrente. Questo supporto dovrebbe essere fornito all’interno del programma di management dell’abortività ricorrente includendo nel trattamento anche il partner maschile.
Tra le terapie con prove limitate rientra l’impiego di progesterone micronizzato somministrato per via vaginale all’inizio della gravidanza, che sembrerebbe migliorare il tasso di nati vivi con una efficacia maggiore all’aumentare del numero di aborti precedenti. Sono necessari ulteriori studi per chiarire i gruppi specifici di donne che riceverebbero i maggiori benefici dal trattamento.
L’infusione endovenosa di immunoglobuline, così come l’uso di trattamenti mirati all’attività delle cellule NK, mancano dati sufficenti che ne giustifichino l’impiego clinico.
Sono in corso studi per valutare l’impiego di terapie antibiotiche profilattiche in donne con abortività ricorrente ed endometrite cronica, oltre che farmaci che agiscano selettivamente sull’utero per migliorarne la decidualizzazione e aumentare il numero di eMSCs

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Le prestazioni svolte

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Nella fecondazione in vitro, gli ovociti fecondati (zigoti) vengono mantenuti in laboratorio, negli incubatori, in condizioni di temperatura controllata (37°C) e atmosfera con 5% Ossigeno e 6% di Anidride Carbonica.

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Abortività ricorrente

L’aborto spontaneo è definito come un’interruzione di gravidanza che avviene spontaneamente entro le 24 settimane di gestazione.

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Negli ultimi tre decenni nel mondo occidentale ha preso piede un fenomeno che rischia di avere importanti risvolti sulla natalità: la programmazione delle nascite ad un’età nettamente più avanzata rispetto al passato.

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